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  • Io non vivo con una gatta

    Io non vivo con una gatta

    Io non vivo con una gatta.

    Vivo con uno spirito nomade femminile che ha trovato dimora nel corpo di una gatta.

    Un anima primordiale che dopo mille peregrinazioni in dimensioni invisibili ha scelto di materializzarsi in un felino che ha come passione quello di osservarmi dall’alto.

    Delle sue precedenti reincarnazioni conserva lo sguardo e con lo sguardo definisce se stessa come colei che osserva senza essere osservata.

    Ha scelto il suo nome e la sua casa come sceglie le sue prede con la capacità istintiva di sapere cosa nutre e cosa riduce alla fame.

    Il nostro convivere è il simbolo atavico di un ricongiungimento.

    Lei mi suggerisce dove andrò io le suggerisco da dove viene.

    Con il pensiero comune di un mancato addomesticamento, un mancato senso dell’ubbidienza, un inesistente senso della stabilità.

    Solo un desiderio di essere dovunque come anime erranti capaci di occupare gli spazi come i desideri occupano le passioni.

    Io e Lei.

    Una gatta e un uomo che insieme hanno scoperto che non è vero che siamo parte di un tutto ma il tutto è parte di noi.

    Il senso della famiglia non imposto dalle convenzioni ma dal sentimento.

    La mia gatta è la mia compagna, la guida verso la comprensione del mio essere animale in culo a chi mi crede e mi vuole umano solo perché non ha la capacità di sentire il mio verso selvatico, il mio parlare alla luna e il mio urlare alla tempesta.

  • Lasciarti andare

    Lasciarti andare

    Mi inventai la forza di lasciarti andare per non farti del male come mi inventai gli arrivederci al posto degli addii e il coraggio di sostituire la paura con un sorriso.

    E tu guardi, mi guardi, facendo ipotesi sullo sguardo, dici che ci trovi poche parole e troppi silenzi.

    Non mi chiedere di dirti che hai ragione.

    Potresti chiedermi altre cose che non voglio dire.

    Le mille storie degli altri tolgono importanza alla nostra e facciamo finta che le mani tremino per il freddo, che i pensieri dormano per il sonno, e che la gambe fuggano per gioco.

    Tutte le donne che ho avuto sono stati fuochi d’artificio in una festa di paese, dopo la festa rimane l’odore di qualcosa che si è incendiato e si è consumato nel fuoco.

    Sarò sempre piccolo, chi non mi ha insegnato a crescere si è dimenticato di dirmi che i giochi si ribellano all’idea di essere giocati da chi ha perso la speranza di vincere.

    Se non mi vedi guarda meglio.

    Io sono sempre qui, lo stesso uomo, che non ha tradito mai, e che ha amato sempre la stessa donna, quella donna che non c’è.

    A proposito siamo a Novembre e tu mi chiedevi come mai era Agosto e avevo l’albero di Natale acceso di fianco al camino elettrico.

    Se venissi oggi mi diresti che sono in anticipo.

    Se venissi tra un mese diresti che è bello.

    C’è chi da importanza al tempo per decidere quando è giusto e quando non lo è.

    Io il tempo l’ho scansato come uno sciatore tra i paletti di uno slalom non così stupido da non sapere che a volte il paletto non lo vedi e ti sbatte in fronte.

    Cadere fa parte del rischio.

    Non partecipare fa parte della paura di perdere o di perdersi.

    E nel delirante tentativo di dare un senso alle parole scrivendole una dopo l’altra come piccoli pezzi di lego con cui costruire una torre che arrivi fino al cielo non dimenticare mai che la parte migliore del gioco è dare un calcio o un pugno alla torre per farla crollare al suolo distrutta.

  • Diffidate dei maestri

    Diffidate dei maestri

    Diffidate dei maestri spirituali.

    Diffidate dei maestri in genere.

    Diffidate di chi dice di saperne di più di voi su questioni trascendenti o temi metafisici aperti.

    Questi argomenti sono per loro natura non falsificabili.

    Mi spiego.

    Quando dico “non falsificabili” mi riferisco al criterio filosofico elaborato da Karl Popper: un’affermazione è scientificamente valida solo se è possibile, almeno in teoria, dimostrarne la falsità attraverso l’osservazione o l’esperimento.

    Vi faccio un esempio: se vi dico che tutti i cigni sono bianchi basterà trovarne uno nero per capire che questa affermazione è falsificabile.

    Ma se qualcuno vi dice: “Esiste un anima immortale” e ve lo dice dall’alto della sua presunta superiorità spirituale voi siete in trappola.

    Siete in trappola perchè non esiste nessun esperimento che si possa progettare per dimostrare che sia un affermazione vera o falsa.

    Come misurare l’anima?

    Come osservare l’aldilà?

    Si entra nel campo della fede, della metafisica.

    E su questi temi tutti possono fare ipotesi.

    Avete fatto caso che chi si avvicina a questi temi cambia il modo di vestirsi.

    Utilizza un dress code mistico, gesticola con la teatralità dell’illuminato, adotta vesti fluide, barbe e capelli lungi, aspetto povero ma ricercato, collanine, braccialetti, scialli e elementi orientali.

    E naturalmente pratica yoga, meditazione, risveglio del kundalini (cosa cazzo significa?), lavora sui chakra, suona il tamburo, ascolta campane tibetane, ti legge l’aura, conosce l’astrologia karmica, la numerologia sacra e propone seminari per il risveglio della coscienza.

    e col tempo si è creato quasi un codice visivo universale per dire “io ho accesso a verità superiori”.

    E invece non hanno accesso a nulla.

    Ne sanno come voi.

    Di fronte a un eclisse di luna trovano significati assurdi, dal momento perfetto per un salto quantico della coscienza, o forse la luna si è oscurata per simboleggiare la morte dell’ego o la prova di un reset cosmico.

    Vaglielo a spiegare a questi illuminati che un’eclissi lunare è un fenomeno astronomico molto semplice dal punto di vista scientifico.

    La Terra si trova perfettamente allineata tra il Sole e la Luna. La Terra proietta la sua ombra sulla Luna, oscurandola parzialmente o totalmente.

    Si tratta di un evento completamente meccanico prevedibile al secondo

    Uguale ovunque nell’universo dove ci sono pianeti, lune e stelle

    Privo di “significato” intrinseco.

    Solo geometria celeste

    Vi sembra che questo tolga poesia al fenomeno?

    Per questo ho sempre preferito la prosa alla poesia.

    La poesia falsa la realtà.

    Tutto questo per dire che mi hanno rotto le palle i maestri, i “significatori” compulsivi, i narratori del caso.

    Il paradosso è che l’universo è già abbastanza meraviglioso così com’è – un’eclissi lunare spiegata dalla fisica è più affascinante di mille “portali energetici” inventati. Ma evidentemente per alcuni la realtà scientifica non basta: hanno bisogno di ricamarci sopra significati che li facciano sentire speciali o connessi a qualcosa di più grande.

    Hanno bisogno di sentirsi portatori di “verità” che noi non vediamo semplicemente perchè non sono vere.

    Mandate a cagare chiunque cerchi di spiegarvi i misteri dell’universo, il mistero è mistero, e chi vuole svelarlo ha il secondo fine di voler nascondere la banalità di essere semplicemente un essere umano tra miliardi di altri umani.

    Il paradosso: proprio questa banalità è ciò che molti non riescono ad accettare. Preferiscono inventarsi missioni cosmiche, anime immortali, destini speciali piuttosto che riconoscere di essere semplicemente scimmie evolved che si raccontano storie per dare senso a un’esistenza che senso intrinseco non ha.

    La vera saggezza forse sta nell’abbracciare questa banalità senza drammi e magari trovarci anche una certa dignità comica e cosmica.

  • Testa o croce

    Testa o croce

    Ti aspetti sempre che esca testa o croce.
    Non hai fiducia e manchi di fantasia.
    A me esce sempre l’indiano.
    E non ci sono ne vinti ne vincitori.
    Non avevo nulla da perdere, non ho nulla da vincere.
    Sono come un ricercato che segue le tracce dei cercatori di taglie per averli sempre davanti ed evitare di essere sorpreso alle spalle.
    Non so come convincerti ad avere fiducia di me, è una questione d’istinto, vederti dormire tranquilla di fianco a me è la gratificazione più grande, sentire nel tuo sguardo la paura del tradimento mi fa sentire colpevole di qualcosa che non ho fatto.
    Ho diviso la mia vita in piccoli segmenti di tempo che vanno dall’alba al tramonto, ed ogni sera traccio una freccia sul muro.
    Direzione verso il cielo, giornata bella.
    Direzione verso il basso, giornata brutta.
    Sono semplice, sono un “due più due” che fa quattro, non aspettarti sorprese, non saprei sorprenderti con cambi improvvisi di direzione.
    Ho il difetto di amare le cose prevedibili.
    Bagnarmi con la pioggia.
    Asciugarmi sol sole.
    Felice se sto bene.
    Infelice se sto male.
    Visto con sospetto da chi è felice solo quando soffre, visto con sospetto da chi cerca lo scontro per sentirsi vivo.
    Se contassi tutte le volte che mi sono sentito perduto avrei lo stesso numero di tutte le volte che da qualche parte mi sono ritrovato.
    Non ho più il coraggio di sfidare me stesso, benedetto il giorno che qualcuno smetterà di sfidarmi.
    Seduto accanto al fuoco mi lascio incantare dalle scintille sparate verso l’alto dalla legna che brucia, ne seguo lo spegnersi e una volta spente ne seguo altre che si spegneranno.
    Domani mattina anche il fuoco sarà spento.
    Ma non sarà questo pensiero a farmi desistere dal caldo, dalla luce e dalle scintille che questa fiamma regala all’attimo presente.

  • Nei dintorni di Sturgis

    Nei dintorni di Sturgis

    Nei dintorni di Sturgis mi trovai di fronte al passato e al presente separati dal muro di un garage.
    A sinistra ci si prende cura del cavallo, a destra si fa la manutenzione della moto.
    Ero a metà strada tra Chicago e Los Angeles, era il 1998, si viaggiava con le mappe di carta e con il piacevole timore di perdersi.
    Cercavo qualcosa che qualsiasi superficiale avrebbe definito “me stesso” ma che io avvertivo come tutto all’infuori di me.
    Non avevo bisogno di cercarmi, forse di perdermi, ma più di ogni altra cosa il viaggio era semplicemente il bisogno di capire che la mia casa fosse “altrove” da dove era sempre stata.
    Che fosse la voglia di sentirsi cittadino di una terra straniera, o straniero nella propria patria poco cambiava, volevo sentirmi libero da ogni appartenenza.
    Come un cavallo che può diventare moto o una moto che può trasformarsi in cavallo quel che conta non era il mezzo ma avere una strada o un terreno su cui correre senza doversi guardare indietro.

  • A me piace

    A me piace

    A me piace viaggiare di notte.
    Con Willie Nelson che suona alla radio.
    E mi piace non sapere dove vado.
    Mi serve per dare uno spazio percorribile al tempo.
    Mi serve per dare un tempo da vivere allo spazio.
    Scollinando verso Ovest passo accanto a una linea continua di lampioni che stampano sul parabrezza strisce di luce infiltrate da macchie scure che altro non sono che cadaveri di moscerini schiantati contro il vetro.
    Sono solo di quella solitudine inspiegabilmente cercata che regala l’eccitazione idiota dell’ultimo desiderio realizzato prima di morire.
    Gli umani mi passano accanto come fantasmi che rincorrono i loro lenzuoli nel tentativo disperato di farsi notare.
    Quando Willie smette di cantare mi basta farlo ripartire da capo per fottere al tempo tre minuti da vivere due volte.

  • Un giorno d’inverno in piena estate

    Un giorno d’inverno in piena estate

    un giorno d’inverno in piena estate mi farebbe felice, non fosse che per la sorpresa, la cosa che non ti aspetti che ribalta tutte le regole, qualcuno si lamenterebbe del freddo, e gli ombrelloni resterebbero chiusi, magari una veloce nevicata che si scioglierebbe il giorno dopo in un quarto d’ora, ho una passione per le cose che non si dovrebbero avverare, tipo un amore eterno, anzi l’eterno, i silenzi che spiegano e la pioggia che sale al cielo come quando piove sull’asfalto e subito dopo il sole richiama al cielo ciò che il cielo ha versato, saper dire una verità senza paura di non essere creduto, restare sveglio di notte e dormire di giorno come se fosse normale vivere come gli animali selvatici, uscire dalla banalità dell’abitudine a ciò che è bello, tornare ad avere vent’anni per un giorno per scoprire come siamo cambiati, e smettere di cercare di essere capiti perché non c’è cosa più stupida di nascondere quel che siamo per diventare quel che gli altri cercano in noi, imprigionato nel qui ed ora mi domando come sarebbe poter fuggire dal tempo e dallo spazio, il pensiero mi fa immaginare la possibilità di una libertà assoluta, un passo da gigante che mi porti via da questa stanza fino a farmi ritrovare in quel luogo dall’altra parte del mondo dove ho assaggiato il sapore della felicità, fondamentalmente mi ritrovo sempre di fronte al solito dubbio su cosa di me possa essere indispensabile per te, non trovando risposta mi abbraccio da solo sentendomi in compagnia dell’unica persona che non può fare a meno di me che poi altro non è che me stesso, la solitudine non è essere soli, ma essere stati educati dalla vita a bastarsi per non correre il rischio di essere abbandonati

  • L’osservazione è una via di fuga

    L’osservazione è una via di fuga

    L’osservazione è una via di fuga.
    Concentrarsi sulle piccole cose, sui piccoli esseri viventi, sul filo d’erba e sulla farfalla aggrappata alla porta di casa.
    E connettersi col minuscolo fino a far sparire ciò che è ingombrante.
    Le grandi discussioni che lasciano posto ai silenzi invisibili, le enormi paura si dissolvono scontrandosi con le minuscole certezze, il mio nulla che dal basso sovrasta un ingombrante tutto.
    Osservo le migliaia di strisce gialle della strada diventare una lunghissima ed unica striscia che indica un orizzonte perso nel buio.
    E mi perdo.
    Perchè solo perdendomi mi sento a casa.
    Fuggo da sempre le certezze conoscendone il potere di ingannare, abbraccio il potere del piccolo attimo di serenità anche a costo di rinunciare al sorriso ebete di chi immagina di nuotare in un mare di felicità.
    Sono nulla e sono qualcosa, il paradosso tiene grazie all’appiglio sicuro del dubbio sul senso del vivere.
    Giocare nell’immaginare un significato nel disegno delle ali della farfalla mi diverte come se fossi un bambino che crede ancora che in quella minuscola casa tra la casa e il paese viva uno gnomo.
    Non importa se non l’ho mai visto.
    Credere ha un senso solo se è un atto di volontà che ha lo scopo di abbattere il muro che divide il possibile dall’impossibile.
    Si può insegnare a volare solo se si ha la forza di immaginare che nulla è impossibile tranne ciò che si crede impossibile.

  • L’unica camicia che possiedo

    L’unica camicia che possiedo

    L’unica camicia che possiedo era di mio padre.
    Riporta stampate in basso a sinistra le sue iniziali e quando la indosso mi sembra di averla rubata.
    La metto solo in occasioni speciali nella consapevolezza che una camicia può farti apparire più in ordine.
    Ma fondamentalmente trovo inutile allacciarsi i bottoni, trovo inutile il colletto e trovo assurdo che vada stirata.
    L’unica cosa positiva nel mettermi una camicia è nella possibilità di guardarmi e trovare un altra persona che mi assomiglia e che guardandomi sembra dirmi: Sai che potevi essere migliore?
    Migliore un cazzo.
    E’ solo una camicia.
    Entro in bagno a pisciare, un tipo con una camicia bianca mi chiede se voglio fare un tiro.
    Gli dico che sono vergine di naso e non ho intenzione di provare quella merda.
    Lo guardo, ordinato, pulito, rassicurante.
    Prima di uscire mi avvicino e gli dico: bella camicia, scelta intelligente che sia bianca, così se quella merda ti cade sul colletto manco si vede.
    Fanculo.

  • Un solo colpo di fulmine

    Un solo colpo di fulmine

    Nella mia vita ho avuto un solo colpo di fulmine.
    Lei entrò nel negozio di magliette che avevo in Ticinese.
    La vidi e pensai che Lei era la donna che cercavo da sempre.
    La cosa bella di queste improvvise illuminazioni sentimentali è che sono puro istinto.
    Niente che abbia a che fare con la ragionevolezza.
    Accade come quando si sente una canzone bellissima che ti fa bloccare qualsiasi cosa tu stia facendo e rimani li ad ascoltarla cercando di capire come fare a trovarne il titolo per poterla riascoltare ogni volta che vuoi.
    Quando uscì dal negozio chiusi la saracinesca e la seguii fino a che non la vidi scomparire come per magia dietro l’angolo di un palazzo.
    La sorte volle che ci rivedemmo, che lavorammo insieme, che insieme facessimo un viaggio bellissimo, e insieme andammo a vivere dall’altra parte del mondo.
    E la sposai.
    Non chiedetemi come andò a finire, perché in certe storie la fine non ha importanza, come certi libri che quando finisci di leggere l’ultima pagina sai con certezza che ciò che hai letto ti ha cambiato per sempre.
    C’è la storia, non letta, ma vissuta.
    Qualcosa di travolgente che ha tracciato un confine nuovo tra ciò che si sogna e ciò che si può avverare.
    E quando oggi mi chiedono perché io sia solo la risposta è nella mia incapacità di accontentarmi dell’imitazione di un capolavoro.
    Sbagliai, ma non ci sono ne rimorsi ne rimpianti.
    Ero impreparato all’essere amato che è come non saper nuotare mentre si fa surf sulle onde dell’Oceano.
    C’era la paura di cadere e la bellezza di cavalcare le onde.
    Oggi di tutta quella storia rimane la riconoscenza per quella donna che mi ha aiutato ad affrontare le mie paure.
    Forse non a vincerle, ma ad affrontarle.
    La mia solitudine è la riconoscenza presente a quel tempo passato.
    Una volta che il bambino impara a camminare non tornerà mai più ad affrontare le distanze che lo separano dalle cose che desidera gattonando.
    Immagina cosa può accadere a un adulto che ha imparato a volare.